Chi non è mai entrato nello studio di un terapeuta immagino si chieda che cosa accada durante una seduta di counselling. Si possono fare illazioni, soprattutto complici svariati film, si può pensare che si chiacchieri, si parli e basta, per dipanare la matassa. Á la Woody Allen: un lettino, tante chiacchiere e alle spalle un terapeuta silente, o assopito o – peggio ancora – che dà pareri e opinioni.
Non è così: il terapeuta non chiacchiera e non dà consigli come un affabile amico o un abile barista. Il terapeuta “fa cose” con la mente, la psiche, l’inconscio della persona che ha di fronte.
Il cliente arriva portando con sé una sua problematica, che riguarda la sua quotidianità: una situazione da risolvere con sé o con il mondo (problemi con il, lavoro, la coppia, la suocera…); entra e trova tre poltroncine: una per sé, una per il counsellor ed una che potrà servire come strumento (la cosiddetta sedia calda: ti incuriosisce? approfondisci qui). Si siede e inizia il suo racconto. Presto viene individuata la situazione su cui portare maggiore attenzione, il bandolo della matassa, per così dire, restando però nel qui e ora, portando in evidenza un fenomeno che lo (dis)turba: un’emozione, un’incapacità, un fallimento…… c’è un’infinità di possibilità di fenomeni da conoscere. Mi preme precisare che “paziente” è chiamato solo chi ha una diagnosi medica di malattia, altrimenti è d’uopo usare il termine cliente.
La seduta dura 45 minuti, e inizia con un’esplorazione del fenomeno, che è l’unico oggetto con cui si può fare contatto e due domande che, in base alle risposte, innescano il prosieguo:
– quello che mi stai raccontando, come ti fa stare?
– cosa vuoi fare con questo racconto/sensazione/emozione?
Questa ultima domanda è forse la più importante, perché a tutti nella vita sono accaduti eventi spiacevoli: ciò risiede nell’essenza stessa della vita (non intendo il farci accadere cose spiacevoli, ma il sottoporci a prove per farci crescere). Ora il punto è: vuoi continuare a crogiolarti nell’insofferenza e insoddisfazione generate da quanto ti è accaduto in passato o vuoi utilizzare quanto ti è accaduto per costruire un nuovo Te?
Si lavora con ciò che c’è, in modo fenomenologico. Anche le emozioni “ci sono”. Spesso ci sovrastano. E qui il counselor, che ha vissuto prima ancora di aver studiato, conosce la mappa delle emozioni umane e i trucchi per gestirle (attenzione: non per mandarle via, per rimuoverle, ma per far sì che ci possano attraversare e vivificare senza travolgerci).
Questa non è una pipa. Vero, aveva ragione Magritte.
Questa è un’immagine di una pipa.
Il fenomeno è il disegno di una pipa.
Non possiamo fumarla né tenerla in mano.
Questo è quel che c’è.
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